Alzheimer. Come stare vicino a chi ne soffre, tra cura e assistenza.

Una malattia neurodegenerativa invalidante che ha conseguenze impattanti sulla vita della persona che ne è affetta, ma anche su quella di chi l’assiste. Stravolge i ritmi quotidiani, le relazioni, generando difficoltà enormi nel ripristino di un equilibrio che possa regalare una qualità di vita individuale e famigliare.
Tanti i dubbi e le domande su come affrontare l’Alzheimer.
Ne parliamo insieme al dottor Renzo Polotti, Direttore Sanitario della Residenza Anni Azzurri Rezzato

Qual'è la differenza tra Alzheimer e demenza?

Il termine demenza indica una condizione clinica caratterizzata da deterioramento della cognitività in vari ambiti, tra i quali in particolare la memoria, in grado di interferire nello svolgimento delle normali attività della vita quotidiana.
La malattia di Alzheimer è una forma di demenza, quella di più frequente riscontro nella pratica clinica.
Oltre alla malattia di Alzheimer esistono altre forme di demenza quali ad esempio la demenza vascolare, la demenza frontotemporale, la demenza a corpi di Lewy.
In termini generali quindi si può parlare di “Demenze” per indicare tutto il variegato gruppo di queste condizioni patologiche che, pur essendo simili e spesso non differenziabili almeno nelle prime fasi della malattia, presentano tra loro diversità di ordine eziologico, sintomatologico, anatomopatologico e terapeutico.
Per fare un paragone grossolano, allo stesso modo con il termine broncopolmonite noi identifichiamo in realtà un gruppo di malattie infiammatorie ad interessamento polmonare diverse per eziologia, sintomi, terapia.

Come si fa diagnosi di Alzheimer?

Chi è lo specialista di riferimento e quali esami servono per la diagnosi.

La diagnosi di demenza avviene ad opera dello specialista geriatra o neurologo sulla base di criteri clinici ben definiti che prevedono una serie di accertamenti fondamentali.
È necessaria una raccolta completa degli elementi anamnestici, un esame obbiettivo accurato oltre ad una valutazione approfondita dello stato cognitivo e della condizione funzionale; con l’acquisizione di questi dati il medico si può già orientare verso l’una o l’altra delle forme che ho citato.
A seguire si potranno se del caso programmare esami di laboratorio e esami radiologici come TAC o RMN encefalo o utilizzare tecniche di neuroimmagine più sofisticate, tutte indagini utili sia per escludere altre condizioni patologiche in grado di determinare demenza, sia per identificarne con maggiore precisione la tipologia.

Quali sono le principali terapie farmacologiche e non farmacologiche che possono rallentare la malattia o migliorare la qualità di vita della persona?

È opinione comune che non esista una cura della malattia. A rafforzare questo convincimento, per quanto riguarda nello specifico la malattia di Alzheimer, è stata diffusa di recente la notizia che alcune case farmaceutiche hanno annunciato la sospensione di programmi di ricerca per l’identificazione di farmaci efficaci a seguito dei risultati deludenti ottenuti negli studi avviati.
In realtà esistono composti approvati per l’impiego in questa forma di demenza utili, come probabilmente anche in alcune altre demenze, se non a “guarire” almeno a rallentarne in qualche modo l’evoluzione.
Purtroppo non costituiscono soluzioni definitive ma, pur nella variabilità della risposta individuale e al di fuori di specifiche controindicazioni, offrono per lo meno il vantaggio di una buona tollerabilità.

Se il farmaco non è in grado di “risolvere” il problema Alzheimer ma solo di ottenere effetti marginali, seppur importanti in considerazione del quadro clinico, è stata confermata l’utilità di associare ad esso interventi di riabilitazione cognitiva con tecniche diverse tese all’utilizzo e alla valorizzazione delle risorse cognitive residue.
Una tecnica tra le più note è la terapia di riorientamento alla realtà (ROT) mirata a far prendere coscienza di sé, della quotidianità, del proprio vissuto e delle relazioni con gli altri.

Non si può dimenticare inoltre l’importanza di un adeguato supporto decisionale (counseling) da fornire ai famigliari in ordine a interventi ambientali che facilitino la giornata del paziente e ne garantiscano tranquillità e sicurezza.

Quindi una cura della malattia esiste, deve essere utilizzata nelle sue varie opzioni, con la consapevolezza degli obbiettivi che realisticamente si possono raggiungere.

Cosa comporta per un famigliare l'assistenza di un malato di Alzheimer?

Quali sono le problematiche che il caregiver deve affrontare.

Alla demenza consegue una progressiva compromissione funzionale in grado di incidere profondamente, e anche completamente nelle fasi più evolute della malattia, sulla vita quotidiana del paziente e della sua famiglia che si trova così ad affrontare, spesso per lunghi anni, un imprevisto e pesante carico assistenziale ed emotivo.

Correttamente si afferma che la demenza non colpisce solo il paziente ma tutto il suo entourage.
Oltre allo stress, e vorrei dire al dolore giornaliero, la famiglia deve affrontare una serie di problemi nuovi, quali quelli legati alla necessità di assicurare una sorveglianza continua ad un paziente spesso totalmente dipendente con i costi finanziari conseguenti.
Per chi presta assistenza (caregiver) possono poi esistere impedimenti ad essere sempre presenti e attori in questo processo per la propria età avanzata o per patologie presenti, impossibilità a mantenere corretti rapporti sociali, difficoltà operative per la modestia degli aiuti forniti a domicilio dalle istituzioni sociali, rischio di esaurimento psico-fisico (burnout).
Oltre a ciò la presenza di disturbi comportamentali, che fanno parte integrante della clinica della malattia (depressione, aggressività, deliri, allucinazioni…) e vengono controllati con difficoltà dai farmaci eventualmente prescritti, rendono ancora più onerosa l’assistenza al paziente.

Il ricorso all’istituzionalizzazione, con le problematiche che comporta, diventa spesso il doloroso ma inevitabile passo finale del percorso di cura. È bene tenere presente che nelle Residenze Sanitarie Assistenziali unitamente al programma assistenziale di custodia viene continuato per quanto possibile un percorso terapeutico integrato anche con l’utilizzo di programmi di riabilitazione cognitiva, di terapia occupazionale e di animazione.

Come comportarsi con un malato di Alzheimer?

Come un figlio, un coniuge, le persone vicine devono approcciarsi al proprio caro. È utile insistere ad esempio facendogli domande sul passato e cercare di stimolare i ricordi o è più consigliato creare una nuova relazione in base alle capacità residue del malato?

Non essere riconosciuti dal proprio compagno o genitore, in generale la perdita di memoria, ha un impatto pesante su chi assiste.
La convivenza con un paziente affetto da demenza costituisce una sfida importante per tutti i famigliari. Non ci si deve confrontare solo con il deficit cognitivo ma con una frequente presenza di disturbi del comportamento.

Le strategie da adottare devono essere definite attraverso un piano personalizzato di cura che tenga in considerazione la assoluta peculiarità di ogni paziente.
Nelle fasi iniziali è certamente utile continuare ad esercitare le capacità residue tramite metodi che riprendano la ROT precedentemente citata, o più semplicemente favorendo ad esempio la lettura del giornale, l’ascolto o la visione di programmi televisivi adatti, il gioco delle carte, il colloquio e la relazione amichevole. È sempre importante garantire la possibilità di una attività fisica, comunque benefica.

Quando il paziente entra in una fase di malattia più avanzata l’impegno della famiglia diventa più strettamente assistenziale, tanto oneroso da richiedere frequentemente un aiuto formale: alimentazione, idratazione, alvo, diuresi, mobilizzazione diventano nuovi capitoli del processo senza dimenticare l’impegno richiesto per fronteggiare i disturbi del comportamento a cui ho già accennato. A questo riguardo resta fondamentale mantenere per quanto possibile un atteggiamento di “normalità” e di paziente tolleranza nei confronti di manifestazioni, di atteggiamenti o di espressioni verbali inappropriate.

Quando è necessario o consigliato il ricovero in una struttura assistenziale specializzata?

Un'assistenza specialistica, anche a domicilio, va attivata fin dalla prima fase della malattia? Quanto un intervento precoce fa la differenza sul recupero della qualità di vita?

I tre interrogativi proposti riportano all’importanza di una gestione professionale delle problematiche presenti.
La necessità di un supporto specifico nella conduzione di un evento patologico così complesso ha portato alla creazione delle Unità Valutazione Alzheimer (UVA) presso le quali si possono trovare proposte, indirizzi e sostegno necessari fin dalle prima fasi della malattia.

La scelta del ricovero in struttura assistenziale, decisione dolorosa e foriera spesso di sensi di colpa per i cari dell’assistito, viene presa in seguito allo squilibrio tra le necessità assistenziali presenti e la possibilità di accudimento da parte dell’ambiente famigliare e/o più frequentemente nella terminalità.
Anche in questo caso risulta importante affidarsi al consiglio del medico esperto che possa alleviare il peso di una decisione tanto impegnativa